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Negli anni Settanta e Ottanta esistevano dei luoghi molto interessanti chiamati sale giochi: l’equivalente nel mondo anglosassone prendeva il nome di Arcade. In entrambi i casi, si trattava di stanzoni più o meno grandi e male areati, nei quali erano alloggiati un certo numero di videogame. Nel mondo del cinema la sala giochi più rilevante è probabilmente quella di Tron: un bellissimo edificio di mattoni pieno zeppo di videogames della Golden Age.

Sia che fossero in Attract mode, o in una vera e propria partita, i videogames non stavano praticamente mai zitti e producevano le loro caratteristiche forme d’onda piatte e squillanti, generate ad un bitrate straordinariamente basso: quel suono è inconfondibile ed indimenticabile. Occorre notare che verso la metà degli anni settanta, la sala giochi era l’unico luogo in grado di produrre quel suono.

Al suo interno la sala giochi era anche più affascinante: l’illuminazione era quasi esclusivamente affidata al bagliore intermittente degli schermi, prevalentemente in bianco e nero. Questa ambientazione, in qualche modo stroboscopica, amplificava il senso di meraviglia nei confronti di ciò che in quei luoghi accadeva. Nel momento in cui la generazione precedente aveva assimilato il concetto di trasmissione televisiva, in momenti chiave come l’allunaggio dell’Apollo 11, il gioco cambiava ancora ed in un modo radicale: lo schermo diventava il luogo dell’azione dell’utente. Questo faceva si che l’immedesimazione crescesse esponenzialmente e di fatto lo schermo diventasse un’estensione della volontà del giocatore, cioè il suo nuovo mondo.

Anche questo era qualcosa che si poteva vedere solo in una sala giochi. La prima cosa che i videogames ci insegnarono fu che il mondo stava cambiando e che quelle macchine, in una forma o in un’altra, sarebbero state le protagoniste di una nuova era.”

    Testo tratto da "WARGAMES - Da Pong a Super Mario"

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